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lunedì 29 dicembre 2014

"Big Eyes": Tim Burton apre i suoi occhioni al bello e ai colori.

di Emanuela Andreocci

Vuoi per i colori, vuoi per l'aggettivo contenuto nel titolo, vuoi per il fatto che non ci sarebbe dispiaciuto per niente trovare un fratellino a Big Fish, ma prima di accostarci alla visione di Big Eyes di Tim Burton, nelle nostre sale dal 1 gennaio, in qualche modo speravamo di poterlo paragonare al film del 2003. E il desiderio, in parte, si è avverato.
Con questo non intendiamo assolutamente criticare le ambientazioni gotiche e i protagonisti outsider che hanno caratterizzato e fatto la fortuna della maggior parte della filmografia burtoniana - tutt'altro! - ma siamo felici di annunciare che la nuova pellicola del visionario regista piacerà anche ai suoi pochi detrattori, proprio come già successo per lo straordinario film sopra citato.

Big Eyes, forse, è addirittura meno burtoniano di Big Fish: dopo una prima panoramica su una strada che è un tipico omaggio a Burbank e agli scenari di molti suoi film, veniamo catapultati in quello che sembra essere l'ovattato mondo color pastello dei pittori di strada, con tanti sogni nel cassetto ma pochi soldi nel portafoglio. 
 
La vera, incredibile storia è quella di Margaret Keane (Amy Adams), la pittrice dei famosi dipinti con soggetti bambini dai grandi occhi - e per questo soprannominati "occhioni" - che è rimasta a lungo all'ombra del successo del secondo marito Walter Keane (Christoph Waltz), artista di facciata, impostore nell'animo. Vittima anche di una mentalità retrograda, per troppo tempo la donna ha permesso a quello che pensava essere l'uomo della sua vita di prendersi il merito del suo talento, arrivando a dover dipingere di nascosto e anche a mentire a sua figlia.

Tim Burton, si sa, ha una passione sviscerata per le storie dal sapore fantastico, e questa si intona perfettamente alle sue corde: chi, meglio di lui, avrebbe potuto portare sullo schermo un sogno che si trasforma in incubo? 

Per quanto riguarda i protagonisti, non si poteva pensare ad una scelta migliore: la Adams - mai lodata pienamente da chi scrive - è assolutamente credibile nei panni della donna che cerca l'emancipazione e che fugge da realtà che le stanno troppo strette, Waltz è l'adorabile mascalzone con picchi di cattiveria gratuita - dettata da un ego troppo grande da contenere - a cui Burton regala un'ipotetica standing ovation del pubblico per il suo "assolo" durante la scena del processo. 

Anche le ambientazioni e i personaggi di contorno sono estremamente precisi e caratterizzati alla perfezione, grazie anche al sapiente aiuto dei due fidi collaboratori di Burton: lo scenografo Rick Heinrichs e la costumista Colleen Atwood. 
Lo "hungry i" di Enrico Banducci (Jon Polito) era uno dei locali più trendy della West Coast ed è lì che il giornalista Dick Nolan (Danny Huston), assistendo ad una lite tra il pittore ed il proprietario, propone a Keane un articolo che darà fama e risalto ad entrambi; Dee-Ann (Krysten Ritter) è l'amica anticonformista di Margaret ed allo stesso tempo il suo poco ascoltato Grillo Parlante; il gallerista Ruben (Jason Schwartzman) è colui che, dopo aver rifiutato di comprare i loro quadri, assiste alla loro incredibile ascesa rodendosi il fegato per non esser salito sul carro dei vincitori quando ne aveva avuto la possibilità.
 
E poi c'è la forza di tutti gli occhioni mostrati, numerosi e magnetici: mentre essi fissano lo spettatore, questi non può che ricambiare lo sguardo con la stessa intensità.

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