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domenica 2 febbraio 2014

"12 anni schiavo": ordinaria storia di atroce ingiustizia umana

di Emanuela Andreocci

12 anni schiavo racconta il duro, difficile e tormentato percorso di un uomo, Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) ed il suo attaccamento alla vita nonostante le atroci difficoltà incontrate nel suo percorso. 
Il terzo film di Steve McQueen, autore dalla forte impronta connotativa nelle sue pellicole come ha dimostrato con Hunger e Shame, è basato sulla memorabile autobiografia che a metà dell'Ottocento ha rivelato al pubblico americano i retroscena dello schiavismo: Solomon, infatti, da cittadino libero di Saratoga, diventa uno schiavo negro della Georgia. Ingannato, rapito e venduto, passa di padrone in padrone come un animale da soma, incontrando nel suo percorso uomini bianchi più o meno predisposti all'ascolto dei diritti altrui. 
Paul Giamatti è il mercante di schiavi senza cuore che lo vende al suo primo padrone, un Benedict Cumberbatch che capisce le potenzialità del suo schiavo ma che non può salvarlo da un destino già annunciato e che quindi preferisce cederlo a Edwin Epps (Michael Fassbender), uno schiavista feroce, senza cuore ed accecato dall'ira che renderà la vita di Solomon un inferno. 
Un po' per la sua straordinaria forza d'animo, che riesce a mantenere nonostante le terribili avversità, un po' per alcuni rapporti che crea con altri nella sua stessa posizione (in particolare con la giovane Patsey, interpretata da Lupita Nyong'o), lo sfortunato protagonista non smette di sperare che un giorno potrà congiungersi nuovamente alla sua famiglia tornando ad essere l'uomo libero che è sempre stato. E alla fine di un lungo, lunghissimo periodo di soprusi, scelte difficili e sofferenze, l'incontro con il buon carpentiere Samuel Bass (Brad Pitt) potrà forse porre fine, una volta per tutte, alla sua agonia...
Il film di McQueen candidato a 9 premi Oscar (e già vincitore del Golden Globe per il miglior dramma) è un lavoro impietoso che mette a dura prova lo spettatore quanto il protagonista, non risparmiando sofferenze ma indugiando sul tempo e i dolori: i 12 anni di schiavitù vissuti da Solomon vengono spesso resi a livello registico con lunghe inquadrature statiche, senza dialoghi, con il solo scopo di mostrare la sofferenza dell'inerte protagonista o dei malcapitati come lui (assolutamente toccante, a tal proposito, la prolungata scena in cui viene lasciato per diversi minuti, forse ore, col cappio al collo ed i piedi che sfiorano appena con le punte il suolo fangoso). 
Tra dettagli e inquadrature che rendono visivamente il peso dei dolori provocati da bastonate e frustrate, tra campi di cotone e di canne e balli grotteschi, si articola la colonna sonora del premio Oscar Hans Zimmer fatta di percussioni e ritmi evocativi della Louisiana, "un mondo pieno di natura, di grilli e di acqua, in completo contrasto con la città in cui Solomon ha sempre vissuto", musiche che a volte si prolungano da una sequenza a quella successiva senza esser necessariamente motivate dal punto di vista diegetico e che entrano nel cuore del pubblico che vi riconosce l'ultimo baluardo di bontà e speranza di un mondo ormai sprofondato nell'odio più profondo.
Lo spettatore, insieme a Solomon, osserva e sopporta con stoica caparbietà le tremende vicissitudini finché l'attenta e onnipresente regia di McQuenn non concede il raggiungimento dell'apice di un climax non più sostenibile e, quindi, liberatorio.
Nelle sale dal 20 febbraio.

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